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4 people found this review helpful
19.4 hrs on record
Se andiamo a vedere il primo capitolo di Deponia, notiamo che il titolo ideato dai Daedalic Entertainment nel 2012 si mostrava decisamente come un'avventura grafica di tutto rispetto. Vuoi per lo stile visivo gradevole e colorato, per la trama interessante e pregna di humour demenziale. Vuoi per i rompicapo e i minigiochi più o meno appaganti, per il plot interessante o per i personaggi ricchi di carisma.
Chaos On Deponia, secondo capitolo della saga ideata dallo studio tedesco, riprende di peso la medesima formula, pur non applicandovi innovazioni di sorta. Se ciò potrebbe superficialmente apparire come una scelta negativa, nella resa finale regala invece si riscontra un risultato diametralmente opposto. Le intenzioni degli autori sono infatti piuttosto chiare sin da subito: proporre al giocatore un titolo che sia fedele al precedente cercando però di migliorarne i vari aspetti alla base. Ed ecco quindi una sceneggiatura che appare maggiormente curata, delle gag che sembrano più spontanee per quanto assurde (e genuinamente più divertenti) e una longevità generale decisamente superiore rispetto alla precedente avventura di Rufus e compagni.
Non c'è molto da dire a riguardo perchè Chaos On Deponia è veramente "solo" questo: un sequel più che riuscito di un titolo che aveva già convinto adeguatamente. E non si poteva chiedere di meglio.

Voto: 8.5
Posted 12 August, 2017.
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54 people found this review helpful
32 people found this review funny
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3.2 hrs on record (2.0 hrs at review time)
Early Access Review
Mettiamo da parte le articolate e fantasiose teorie su come gli autori abbiano partorito un'idea simile. Tralasciamo anche inutili moralismi sulla natura di questo prodotto sviluppato da Free Lives e distribuito da Devolver Digital. Evitiamo di discutere anche sul fatto che, se tua madre entrasse in camera, sarebbe più facile spiegarle perchè ti stavi masturbando su una rappresentazione erotica del gatto di Schrödinger piuttosto che sul perchè stavi giocando a Genital Jousting. Insomma, non soffermiamoci sull'aspetto visibile (nonché fallico) del titolo e cerchiamo invece di analizzarlo razionalmente.
Sostanzialmente, Genital Jousting è un party game multiplayer in cui i giocatori si affrontano in numerosi minigiochi di diverse tipologie usando come avatar...dei peni (il titolo è inequivocabile, dopotutto). Scelta una skin tra quelle disponibili e sbloccabili per il nostro simpatico fallo (e che vanno dal vestito da prete fino al completo da tennista), possiamo scegliere se giocare in un party contro avversari bot oppure giocare con altre persone online. A quel punto, vengono stabiliti i minigiochi da affrontare e il numero di sfide prima di decretare il vincitore. In generale, bisogna quasi sempre mirare ad una penetrazione compulsiva degli avversari per poter ottenere dei punti, ma è possibile ottenerli a sua volta anche all'opposto (sì, avete capito bene). I peni infatti risultano per l'occasione visibilmente anomuniti, e quest'aspetto verrà sfruttato più e più volte durante ogni singola partita giocata.
Il vincitore, una volta salito sul gradino più alto del podio, potrà festeggiare eiaculando copiosamente, mezzo necessario per ottenere così nuove sfide e nuove skin da testare.
La varietà dei minigiochi è probabilmente l'aspetto migliore di Genital Jousting. Vi è la corsa da compiere in mezzo ai cactus, dove vince naturalmente il primo che riesce a tagliare il traguardo. Vi è la fabbrica di siringhe, in cui bisogna evitare di essere punti per primi dagli aghi. Vi è anche la sobria ed elegante gara d'abbuffata, in cui il vostro pene, come già detto anomunito, deve riuscire ad inglobare il maggior numero di feci presenti sulla tavola. Le numerose sfide proposte consentono quindi di rinnovare di volta in volta la partita, garantendo al titolo sempre un minimo di "freschezza".
A livello di gameplay c'è veramente poco da dire, vista l'enorme semplicità dei comandi (si usano solo le frecce direzionali per muovere il proprio pene). Un po' più problematico giocare utilizzando un joypad, visto che il setting risulta piuttosto contorto, almeno al momento.
La grafica di Genital Jousting è piuttosto minimale, ma compensata da una ricchissima varietà di colori. Quello che però lascia davvero stupiti (e, soprattutto, profondamente disturbati) è la componente sonora. Ogni atto di penetrazione è accompagnato da rumori viscidi quanto enfatizzati, regalando una vera e propria orgia sinfonica di uccelli mollicci. Discrete le musiche, presenti però in un numero parecchio esiguo.
La struttura di gioco contribuisce a rendere Genital Jousting uno di quei prodotti immediati, in cui le partite risultano dinamiche e veloci e il tempo di gioco è sempre molto gestibile.
Tra i contro, purtroppo fortemente in grado di influenzare l'esito finale del prodotto, vi è la scarsa stabilità dei server ed il basso numero di giocatori. Il matchmaking risulta quindi sempre parecchio lungo e si fa fatica a riuscire ad avviare tranquillamente una partita. Non mancano poi anche alcuni fastidiosi bug, che spesso e malvolentieri costringono ad abbandonare la lobby ed a riprovare per ovviare al problema.
Genital Jousting è insomma un gioco multiplayer semplice ed è soprattutto un enorme schiaffo in faccia al senso del pudore e direi anche alla polemica della nudità nei videogiochi. Sostanzialmente non si tratta di un prodotto malvagio ed è in grado di svagare facilmente il giocatore, anche solo grazie alla sua folle ironia. I sopracitati problemi lo rendono però un prodotto poco sfruttabile nelle sue condizioni attuali. Laddove verrà rilasciata la sua versione definitiva con relative risoluzioni ai problemi e la sua community andrà magari a crescere ulteriormente, si potrà allora parlare senza problemi di un onesto intrattenimento, seppur parecchio bizzarro.
Ed ora scusatemi, ma vado a ritrovare la mia dignità.

Voto: 6
Posted 20 May, 2017. Last edited 20 May, 2017.
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51 people found this review helpful
5.2 hrs on record (5.1 hrs at review time)
"Lo colpì il fatto che ciò che veramente caratterizzava la vita moderna non era tanto la sua crudeltà, né il generale senso d'insicurezza che si avvertiva, quanto quel vuoto, quell'apatia incolore."
(1984, George Orwell)

Un bambino con indosso una maglia rossa sbuca improvvisamente da un anfratto roccioso. E' solo, ed è visibilmente in fuga da qualcuno che gli sta dando la caccia. Corre in mezzo agli alberi, spaventato, in una surreale foresta avvolta dalla freddezza della nebbia e dalla paurosa oscurità della notte.
Con questo incipit immediato ci viene presentato Inside, un platform-puzzle game a scorrimento orizzontale creato dai ragazzi danesi di Playdead. Ciò che infatti caratterizza questo prodotto a livello di gameplay è uno schema in verità piuttosto comune e basilare, nutrito a suon di piccoli enigmi ed azioni ambientali: saltare, arrampicarsi, nascondersi, scendere, salire, nuotare, spostare oggetti e via dicendo. Le sfide proposte per ottenere lo step successivo non sono di certo particolarmente impegnative, ma non risultano nemmeno banali o di rapida risoluzione. Anzi, spesso e volentieri occorrerà anche veder morire il nostro piccolo protagonista nei modi più barbari e cruenti possibili prima di riuscire ad avere la meglio su ciò che il gioco ci chiede esplicitamente di fare per proseguire in una storia dalla durata non eccessiva (può essere completata infatti in 4-5 ore massimo).
Parlando appunto della storia, Inside narra una vicenda criptica e volutamente silenziosa. Il nostro alter ego non parla, non ha nemmeno un volto con cui possa esprimere le sue emozioni, non ci sono cutscenes di sorta a venirci in soccorso per comprendere cosa stia succedendo e non ci sono nemmeno righe di testo da leggere per indirizzarci narrativamente da qualche parte. Inside, da questo lato, punta perciò ad un forte e determinato minimalismo. Gli elementi che compensano questa volontaria menomazione creativa da parte dei Playdead e ne garantiscono comunque un risultato più che soddisfacente sono da individuare nell'ambientazione e nella profonda cura riposta nel level design generale.
Il motore grafico Unity ci suggerisce infatti in maniera efficace un mondo opprimente e colorato di grigio, dove paradossalmente è il buio ciò che garantisce un po' di sicurezza al nostro avatar braccato, mentre la luce è invece una fonte continua di pericolo, perché proveniente esclusivamente dai fari delle macchine di sorveglianza e non dal canonico e confortante sole. Quest'ultimo sembra anzi essere completamente sparito dal nostro pianeta. Al posto del sole è invece onnipresente l'acqua (specialmente nella seconda parte del gioco), dall'aspetto denso e torbido, oltre che in grado di fungere da aiuto o da condanna a seconda delle circostanze.
In questa curiosa ed affascinante distopia da scoprire passo dopo passo, e solo attraverso l'analisi dei vari elementi di contorno presenti nei livelli di gioco, l'umanità sembra essere giunta infine sull'orlo del baratro ed aver abbracciato un progresso scientifico fatto di grotteschi esperimenti genetici e di totale oppressione alla libertà del singolo individuo.
Una nota doverosa va fatta a proposito del finale. L'epilogo di Inside è oscuro e fortemente pregno di domande. Se da un lato qualcuno potrebbe superficialmente pensare ad una trovata comoda da parte degli autori per risparmiare fogli di sceneggiatura, io preferisco invece pensare ad una volontà esplicita dei Playdead di lasciare un significativo spazio riflessivo da riempire, una comprensione prettamente personale della vicenda data da come noi abbiamo vissuto l'intensa esperienza di questa singolare avventura.
E, per quanto si possano muovere le più disparate critiche a riguardo, non si può far altro che lodare comunque la bellezza di un viaggio sì sensorialmente tortuoso e struggente, ma a conti fatti semplicemente e piacevolmente straordinario.

Voto: 9.5
Posted 25 April, 2017. Last edited 25 April, 2017.
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15 people found this review helpful
6.0 hrs on record
Nel panorama videoludico pare ormai essersi consolidata con forza la tendenza a sviluppare nuovi prodotti ibridi, frutto spesso di una sperimentale commistione tra il format originale di riferimento (appunto, i videogames) e un format diverso ma comunque affine per alcune caratteristiche, come ad esempio i film o le serie tv. Il tutto allo scopo di ottenere un risultato innovativo e in grado di appassionare una certa fetta di pubblico.
Virginia può essere considerato a pieno titolo uno dei più recenti "figli" di questa curiosa tendenza, ma è anche un'opera che riesce distaccarsi un po' dai suoi simili, mostrando una serie di aspetti che, per certi versi, lo rendono un prodotto semplicemente unico nel suo genere.
Siamo nel paese di Kingdom, in Virginia e vestiamo i panni di un agente dell'FBI di nome Anne Tarver. Insieme a una collega, ci muoviamo sulle tracce di un ragazzo del posto misteriosamente scomparso. Il caso però è più che altro un mero pretesto degli autori per accompagnare il giocatore in un viaggio introspettivo, intimo e assolutamente misterioso. Un viaggio a cui si lega anche una narrazione elaborata e fuori dagli schemi, che strizza l'occhio al Twin Peaks di David Lynch e che gioca costantemente con l'alternanza della sfera reale e di quella onirica.
Virginia è di base un breve racconto interattivo (può essere infatti portato a termine in circa 2-3 ore di gioco), seppur la sua interattività sia assolutamente ai minimi storici. Vi sono infatti poche possibilità di movimento e si può solo camminare in zone precise e circoscritte. Vi sono alcuni oggetti da raccogliere o alcune interazioni da dover compiere con lo scenario di gioco. Parlando però in termini effettivi di gameplay, quel che conterà alla fine sarà "solo" guardare, recepire o interpretare un'espressione, un movimento o un gesto.
Si, perchè Virginia è anche un prodotto che rinuncia volontariamente a qualsiasi forma di dialogo per mettere in scena il suo articolato intreccio. Tutto è affidato a una regia più che mai cinematografica, che monta vere e proprie sequenze filmiche in prima persona e che sfrutta solo le immagini per trasmettere la sua dose di emozioni nell'animo del giocatore.
Proprio nella sua natura di ibrido tra videogioco e film, Virginia mostra forse le sue caratteristiche più originali. Abbiamo già detto che la storia si regge sulla realtà e sul sogno, ma la stessa gioca molto anche con i vari piani temporali. Non solo per la presenza di momenti che vanno ripetutamente tra il presente e il passato, ma anche perché l'opera di Variable State si prende il lusso di compiere dei singolari "stacchi" tra una sequenza e l'altra. Trovandoci ad esempio a percorrere un corridoio, il tempo non andrà a scorrere regolarmente, aspettando magari il nostro arrivo alla fine del percorso. Bensì, assisteremo probabilmente a una brusca interruzione della nostra azione, per poi trovarci catapultati alla fine del suddetto corridoio, o meglio ancora direttamente nella stanza che avevamo intenzione di raggiungere. Virginia fa quindi ricorso a quello che, in gergo puramente cinematografico, potremmo definire come montaggio.
Parlandone a livello grafico, il titolo ha uno stile che richiama una sorta di cartoon con colori molto accesi e marcati, pur non risultando particolarmente ricco di dettagli. Ciò che eleva l'aspetto visivo di Virginia agli occhi del giocatore è l'ottimo uso degli effetti di luce, che si presentano curati in maniera verosimile e in grado di regalare momenti appaganti per la vista. La colonna sonora, invece, alterna sapientemente tracce che riescono a sottolineare in maniera agevole sia i momenti di narrazione più quieti che quelli più drammatici e ricchi di tensione. Confido che la soundtrack composta da Lyllon Holland ed eseguita dall'Orchestra Filarmonica di Praga non faticherà più di tanto a restarvi impressa.
Insomma, Virginia è sicuramente un'opera che riesce a dire la sua nel contesto dei "non-giochi" e che amplifica ulteriormente l'eterna discussione sugli ibridi tra videogames e film. Se affine con i gusti e le pretese del giocatore, il lavoro di Variable State può assolutamente regalare un'esperienza sentita quanto soddisfacente.

Voto: 8.5
Posted 15 April, 2017.
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6 people found this review helpful
33.7 hrs on record
Freestyle Football è un gioco sportivo free-to-play basato sulle classiche partite di calcetto da strada. Un gioco che, soprattutto per nome e genere, sembra voler richiamare nella memoria dei videogiocatori più anziani la famosa serie di Fifa Street. Il risultato finale, tuttavia, è sin da subito abbastanza lontano dal prodotto del colosso aziendale noto come EA Sports.
In Freestyle Football ogni giocatore è chiamato in primis a creare il proprio avatar, tramite un sistema di editing piuttosto basilare (che compensa in parte con la fantasia degli accessori e dei vestiti sbloccabili). In seguito bisognerà scegliere il ruolo tra i tre disponibili e infine occorrerà portare a termine l'immancabile (ma comunque facoltativo) tutorial per imparare le basi del gameplay. A questo punto, si viene subito inseriti in una playlist di partite con giocatori casuali, oppure si può scegliere di formare un team insieme ai propri amici e sfidare altri quartetti online in incontri a suon di goal.
Il gameplay, va detto subito, non lascia molto spazio a giocate particolarmente sontuose o a tiri elaborati. Dribbling, finte e conclusioni a rete sono tutti molto limitati e la maggior parte degli stessi hanno spesso un semplice valore scenico. A riguardo, non mancano nemmeno le classiche esultanze post-goal (seppur ottenibili solo tramite acquisti in game). In breve, anche se non vi aspettate un Fifa o un Pes ma sperate semplicemente in una certa varietà di giocate e schemi da provare, Freestyle Footbal non riuscirà a soddisfarvi nemmeno con le pretese ridotte al minimo storico.
Allo scarno gameplay si aggiungono purtroppo anche altre note dolenti: una certa presenza di bug, una lentezza a tratti pesante del matchmaking e perfino una scarsa IA da parte dei portieri, unici "bot" presenti negli incontri giocati e spesso comici protagonisti di passaggi e parate totalmente casuali, nonché nocive per l'esito finale degli incontri che disputerete.
Graficamente il titolo presenta uno stile cartoonesco discreto, che a conti fatti risulta parecchio anonimo. Vanta però, in compenso, una buona colonna sonora (sebbene limitata a pochissimi brani).
Come avrete già largamente intuito, il titolo realizzato da Joycity non è esente da difetti rilevanti che finiscono inevitabilmente con l'influenzare in maniera negativa l'esperienza di gioco generale. Le lance da spezzare a favore di Freestyle Football sono veramente poche e si possono riassumere sostanzialmente nel ristretto dispendio di tempo che il titolo porta (le partite hanno una durata media di tre minuti, escludendo eventuali tempi supplementari) e dalla natura gratuita del prodotto. Fattori che lo rendono, anche se non soddisfacente, quantomeno un gioco "leggero" e fruibile per tutti.

Voto: 4,5
Posted 13 April, 2017.
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11 people found this review helpful
5.3 hrs on record
"Perché lo spettacolo del mare è così infinitamente e così eternamente gradevole? Perché il mare offre contemporaneamente l’idea dell’immensità e del movimento. Sei o sette leghe rappresentano per l’uomo la ragione dell’infinito. Ecco un infinito diminutivo. Che importa, se è sufficiente a suggerire l’idea dell’infinito totale? Dodici o quattordici leghe di liquido in movimento bastano per dare la più alta idea di bellezza che sia offerta all'uomo sul suo abitacolo transitorio."
(Charles Baudelaire, Il mio cuore messo a nudo)

Abzu è il nome con cui si identifica l'antica divinità mesopotamica dell'oceano e delle acque del sottosuolo. Un nome più che azzeccato in questo caso, visto che non solo sarà proprio il variegato fondale marino lo scenario unico in cui si svolgerà l'avventura del giocatore, ma alcuni elementi mostrati nel gioco avranno proprio un forte rimando alla nota regione del Vicino Oriente. Come le curiose e armoniche strutture architettoniche degli edifici sommersi, delle immense sale e dei lunghi corridoi di transito. Strutture spesso sature di misteriosi disegni, che sembrano raffigurare un antico popolo intento a celebrare la natura marina in tutte le sue forme. Un po' quello che sembra essere anche l'obiettivo di questo gioco. Meglio togliersi il dente e dirlo subito: Abzu corrisponde a quel genere di giochi facilmente etichettati dai videogiocatori come "non giochi". La narrazione, infatti, sfrutta esclusivamente le sequenze, le immagini, il comparto sonoro o le musiche. Non sono presenti dialoghi di sorta ad esempio, non ci sono altri "personaggi" al di fuori del nostro protagonista, non vi è un game over. Non vi è nemmeno un obiettivo chiaro da perseguire e non vi è chissà quale varietà d'azione (sebbene vi sia una grossa libertà di movimento all'interno delle location). E' il classico prodotto che sbatte la porta in faccia a chi cerca il gameplay articolato, la difficoltà elevata, la narrazione esplicita, la trama stratificata o perfino l'esperienza a lunghissimo termine. Sì, perchè la longevità è veramente bassa e dopo 2-3 ore il vostro viaggio sarà inevitabilmente giunto ai titoli di coda.
Perchè allora questo "gioco" merita di stare nella vostra collezione? Semplicemente, perchè riesce benissimo in quello che si prefissa: Abzu non è un gioco che vuole impegnare il giocatore o più banalmente distrarlo dalla pesantezza accumulata durante la sua giornata. Abzu è un gioco che vuole inculcare nel cuore la poesia e la magia dell'oceano, generate dalle sue impressionanti e infinite bellezze. Per farlo, ricorre a una serie di elementi azzeccati e di tutto rispetto.
A livello estetico, ogni capitolo di gioco è un mosaico di colori netti e accesi, dove un arancio o un verde dominante può scaldarci e rilassarci agevolmente mentre spostiamo l'acqua coi piedi per muoverci da una zona all'altra della mappa. O dove un blu o un grigio cenere possono turbarci e quasi opprimerci, con l'orizzonte celato da un nero inquietante che sembra volerci inghiottire e che solo la luce artificiale del nostro casco può contrastare, dandoci un po' di tepore. I colori principali che caratterizzano i livelli sono poi alternati da numerose sfumature, raffigurate in toto dalla splendida fauna locale. Lamantini, delfini, squali, testuggini, e tantissimi altri abitanti del fondale marino. Questi ultimi nel gioco vantano, oltre a una varietà notevole, anche una realizzazione curata e una resa perfettamente verosimile. Nuotare con queste creature, danzare con loro, organizzare coreografie, compiere tuffi spettacolari e salti acrobatici sarà un'attività che difficilmente esiteremo a provare più di una volta durante l'avventura.
Anche il comparto sonoro è indubbiamente di gran livello e va da rumori ambientali molto azzeccati ai versi delle varie creature, resi in maniera perfettamente plausibile. Evocativa, possente, a tratti di infinita dolcezza la colonna sonora di Austin Wintory, che difficilmente vi lascerà indifferenti all'ascolto.
L'unico difetto, se vogliamo, che presenta questo parto della mente di Matt Nava e dei Giant Squid Studios è legato, come già detto, al fattore della longevità. Non ci sono infatti altre modalità al di fuori della storia principale, caratteristica che rende Abzu un prodotto di rapido consumo. Un difetto compensato comunque dalla grande esperienza che lascia, breve ma anche assolutamente intensa.
In conclusione, Abzu è un prodotto che esula dalla semplice etichetta di videogioco. E' più come una carezza amorevole, un intenso abbraccio dato al giocatore. E' la messa in scena di una culla appagante di colori, di suoni, di musica e di sensazioni piacevoli. Se pensate che costi troppo per quello che effettivamente offre, sta solo a voi deciderlo. Io, personalmente, ho adorato fare un tuffo in questo immenso e colorato mare.

Voto: 9
Posted 12 February, 2017. Last edited 12 February, 2017.
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18 people found this review helpful
54.6 hrs on record
XCOM: Enemy Unknown, gioco prodotto dalla Firaxis Games, è un prodotto del 2012 di genere strategico-gestionale, che mette il giocatore nei curiosi panni del comandante di una grossa organizzazione governativa chiamata appunto XCOM. Tale organizzazione nasce con lo scopo di respingere un'ostile invasione aliena su larga scala, che rischia di portare irrimediabilmente alla scomparsa del genere umano.
Se il plot potrebbe suonare noto e scontato a molti, anche per il grande utilizzo applicato nelle grosse produzioni hollywoodiane, Firaxis Games stupisce sin da subito il giocatore grazie a un gameplay bilanciato e solidissimo. Sostanzialmente, una partita a XCOM si articola in due fasi distinte. In una si tratterà, brevemente, di gestire la nostra base: il giocatore avrà un budget mensile a disposizione fornito dalle varie nazioni aderenti al progetto XCOM. Lo stesso budget sarà fondamentale per coprire le spese richieste dalla costruzione di nuove strutture (laboratori, rimesse, caserme, fonderie etc.), dall'ingaggio di nuove truppe (personalizzabili grazie a un buon editor), dalla creazione di vari mezzi da combattimento o di satelliti, dalla realizzazione di nuove armi e strumenti, dalle ricerche scientifiche e da tante altre componenti volte a migliorare il nostro personale approccio all'invasione in atto e a garantire un sentito vantaggio militare sul campo. In questo frangente possiamo introdurre automaticamente la seconda fase del prodotto targato Firaxis: il campo di battaglia. Ogni azione compiuta durante la gestione si ripercuoterà in termini di forza durante le battaglie. I vostri soldati saranno sempre più forti, più precisi, più resistenti, più equipaggiati o più saggi a seconda del livello di gestione che garantirete loro durante la partita. Ciò aumenterà quindi le possibilità di sconfiggere gli invasori e portare a termine le varie missioni assegnate di volta in volta.
La componente strategica di XCOM si mostra come il più classico dei giochi di ruolo da tavolo: i soldati e gli alieni non sono altro che pedine mosse su di un'ipotetica scacchiera, in grado di muoversi per un certo numero di caselle e attaccare/compiere azioni a turno. La mossa compiuta nei confronti dell'avversario avrà più o meno una certa efficacia secondo un calcolo probabilistico (rappresentato in maniera visibile con la percentuale di successo massima del nostro attacco), che varierà a seconda di numerose componenti (vicinanza col bersaglio, linea di tiro sgombra o meno, tipo di arma equipaggiata, abilità del soldato, resistenza dell'alieno e via dicendo). Questo tipo di meccaniche adottate per gli scontri premiano molto spesso la pazienza, l'adattamento di una strategia precisa e l'efficace organizzazione di squadra, risultando particolarmente stimolanti e coinvolgenti per il giocatore. Non è un caso perciò che riescano quasi da sole a fornire la fetta più grossa dell'intrattenimento dato dal titolo, nonostante magari le missioni potrebbero iniziare a diventare ripetitive dopo un certo numero di ore di gioco.
La campagna giocatore singolo, inoltre, garantisce una longevità assolutamente positiva. Come se non bastasse, si può allungare ulteriormente la durata della stessa con i vari DLC acquistabili (consiglio in particolare XCOM: Enemy Within, una vera e propria espansione del gioco base). E' possibile anche sbizzarrirsi con la modalità multiplayer, fronteggiando gli avversari online sul campo di battaglia con l'ausilio di una squadra personalizzabile.
Sul lato tecnico: il gioco si fa apprezzare sicuramente per il buon sonoro e per il buon doppiaggio. Graficamente, invece, non penso farà sobbalzare di gioia il giocatore, ma riesce a rimanere comunque dignitoso e godibile dal punto di vista estetico.
In conclusione, XCOM è un gioco che riesce a sfruttare egregiamente le meccaniche che propone al giocatore, coinvolgendolo sensibilmente per decine e decine di ore di gioco. La difficoltà (variabile fino a quattro modalità) riesce a renderlo costantemente appagante e appetibile per qualsiasi palato. Anche per chi, solitamente, non mastica prodotti di stampo gestionale o strategico. Consigliato.

Voto: 8.5
Posted 29 January, 2017. Last edited 29 January, 2017.
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8 people found this review helpful
11.2 hrs on record
Orrmai diventata una casa produttrice dallo stile definito e assolutamente personale, la Telltale Games ha creato, con una sempre maggior frequenza negli ultimi anni, un notevole numero di opere videoludiche, tutte basate principalmente su altri franchise più o meno famosi al pubblico. Non deve stupire, perciò, nemmeno questo nuovo e singolare connubio con la Gearbox Software, un'unione che ha dato vita a questo Tales From The Borderlands, ennesima avventura in 5 episodi ambientata nello strampalato e selvaggio universo di Pandora, tratto dalla serie di videogiochi Borderlands.
Va precisato che il gioco, a livello puramente strutturale ed estetico, non fornisce nulla di particolarmente nuovo rispetto ad altri prodotti targati Telltale. A livello grafico, Tales From The Borderlands non cerca affatto di migliorarsi rispetto alle altre avventure della software house californiana. Mentre, a livello strutturale, si avvale di innovazioni decisamente poco rilevanti. Tralasciando la possibilità di usare due personaggi e le abilità dei due protagonisti, il gioco rimane fedelmente ancorato alla tipica struttura episodica già riscontrata nei vari The Walking Dead, The Wolf Among Us, Game Of Thrones e compagnia. In sintesi, ricorreremo al classico e collaudato modus operandi: scelte più o meno importanti da compiere. Qualcuna in grado di influenzare la trama, mentre altre saranno più votate a "personalizzare" la nostra esperienza narrativa. Gameplay minimo, ridotto a piccole fasi di esplorazione e ad azioni in QTE.
Questi elementi però, sintetizzabili in una scarsa voglia degli autori a volersi effettivamente rinnovare, sono forse gli unici difetti che si possono imputare a questo Tales From The Borderlands. Perchè, per il resto, il matrimonio tra Telltale e Gearbox ha dato vita ad un'opera che può dirsi pienamente e felicemente riuscita. Le storie intrecciate dei due protagonisti, Rhys e Fiona, si avvalgono di una storia che si mantiene sempre frizzante e dinamica, che sa alternare in maniera sapiente l'umorismo tipico della serie Borderlands e la tensione delle sceneggiature dei lavori Telltale. Si rivela poi anche una serie in grado di mostrare una galleria di personaggi ben caratterizzati e carismatici (seppur un po' stereotipati), dando un peso notevole ai comprimari e non limitandosi a definire solo i due protagonisti principali. A ciò dovete anche aggiungere una regia e una direzione ispiratissime. Sarà difficile non rimanere colpiti dalle bellissime introduzioni dei singoli episodi, in cui le immagini e la narrazione vanno a sposarsi con una colonna sonora dal sapore pop e assolutamente orecchiabile (dove figurano brani di autori quali Jungle e Shawn Lee's Ping Pong Orchestra).
In conclusione, ci troviamo di fronte a 5 episodi adrenalinici, surreali e spassosi allo stesso tempo, nonché fortemente coinvolgenti. Se amate i lavori dei Telltale, se adorate l'universo di Borderlands o più semplicemente se apprezzate particolarmente la componente narrativa in un gioco, godersi le folli avventure di Rhys e Fiona diventerà quasi un obbligo per la vostra esperienza videoludica.

Voto: 9
Posted 26 January, 2017. Last edited 26 January, 2017.
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8 people found this review helpful
3.3 hrs on record (0.6 hrs at review time)
Refunct è un breve gioco di genere platform con visuale in prima persona, dalle meccaniche piuttosto semplici. Infatti, non chiede nulla di particolare al giocatore se non di muoversi tra una moltitudine di sezioni di forma quadrata, in cui sarà possibile solo saltare o sfruttare l'appoggio di alcune superfici, in stile parkour. Più precisamente, bisognerà muoversi su una lunga serie di piattaforme provviste di differenti livelli di altezze. In tali sezioni sarà possibile riscontrarne alcune dotate di caratteristiche specifiche, che le andranno a differenziare da tutte le altre. Ad esempio, su alcune sarà possibile trovare enormi pulsanti rossi, capaci di sbloccare altre piattaforme da raggiungere se premuti, su altre vi saranno delle sezioni mobili in grado di fungere da ascensore o altre ancora avranno, semplicemente, dei piccoli cubi da raccogliere.
Non stupisce, viste le poche possibilità di azione, che la longevità del gioco sia piuttosto carente. Refunct è infatti il classico prodotto in cui non si potranno ignorare gli achievements ad esso legati, perchè rappresentano l'unico pretesto per raggiungere una sorta di senso di completezza, all'interno di un prodotto che non ha ne un epilogo ne un game over (e nemmeno un prologo, se vogliamo essere più precisi).
Andando ad analizzare gli aspetti più distintivi, si nota subito che il prodotto creato da Dominique Grieshofer è caratterizzato da un'ambientazione minimale ma allo stesso tempo dignitosamente peculiare. Sostanzialmente, è presente solo un piccolo lotto di terra composto dalle già citate piattaforme. Lotto circondato da un'infinita e profonda distesa d'acqua. Insieme alla presenza di un tangibile ciclo giorno-notte e all'accompagnamento di una colonna sonora evocativa quanto rilassante, sono tutti elementi che contribuiscono a dare al giocatore la sensazione di trovarsi in un posto che esula dai semplici concetti ordinari di spazio e di tempo. Refunct, infatti, non ha la pretesa di essere un gioco che vuole impegnare a fondo il giocatore. In realtà, mira a fornire più una sorta di esperienza intima con sé stessi, in cui luci, colori e musiche riescono a cullarlo e senz'altro a tranquillizzarlo in quest'artificiale oasi di pace. La resa grafica molto buona, nonostante la pochezza di dettagli e di elementi all'interno del gioco, aiuta molto a centrare quest'obiettivo e ciò si nota principalmente nei momenti in cui si ha il passaggio dalle ore diurne a quelle notturne, e viceversa.
Il prezzo abbastanza contenuto appiana in parte il già citato difetto della scarsa longevità e rende Refunct un gioco sicuramente non indispensabile nell'esperienza di un videogiocatore, ma non per questo da evitare a priori. Si tratta, in termini spiccioli, di un piccolo momento in cui rilassarci e "staccare la spina". Un momento che, a conti fatti, meritiamo tutti.

Voto: 6.5
Posted 20 January, 2017. Last edited 20 January, 2017.
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10 people found this review helpful
37.1 hrs on record (34.0 hrs at review time)
Premessa: non ho giocato i precedenti capitoli del franchise Pirate Warriors. Le mie impressioni sono perciò da prendere come quelle di un neofita della "saga".
E' sicuramente inutile sprecare parole per cercare di spiegare cos'è One Piece. La popolarità del manga scritto da Eichiro Oda, serializzato sulla rivista Shonen Jump da innumerevoli anni, ha raggiunto un livello praticamente globale. Tra storia cartacea, serie anime, giochi e gadget vari, le avventure di Monkey D.Rufy si sono ritagliate uno spazio significativo anche nel nostro paese, dove è sicuramente presente una consistente fetta di appassionati italiani.
Nei casi di videogiochi che si prestano a un brand così popolare, il rischio di fare fiasco e scontentare i fan è piuttosto alto. Koei Tecmo Games sicuramente lo sa bene e ha cercato di dare al pubblico un prodotto più che soddisfacente. Ci è riuscito? A mio avviso, in parte. One Piece Pirate Warriors 3 è potenzialmente il gioco perfetto per gli amanti della saga di Oda, ma ha anche alcune pecche che non permettono di promuoverlo con convinzione assoluta.
Dal lato tecnico, intanto, devo segnalare la fastidiosa esperienza che ho avuto con questo gioco in quanto possessore di un controller Xbox One. Se siete soliti utilizzare quest'ultimo per giocare, vi avviso che dovrete rimboccarvi le maniche e cercare di configurare manualmente tutti i tasti, che risultano invertiti o completamente sballati. Sarete quindi costretti ad aiutarvi con qualche programmino free, per fortuna facilmente reperibile sul web. A questa rogna, si aggiungono inoltre alcuni intoppi dovuti forse al porting non proprio perfetto (tra cui l'impossibilità di alzare/abbassare il volume a gioco avviato), ma che per fortuna non risultano essere particolarmente rilevanti per godersi il prodotto in pace.
Sebbene OP PW3 verta tutto sulla campagna in singolo, nel gioco figura anche una modalità multiplayer, che in un universo ricchissimo di personaggi come quello di One Piece avrebbe potuto essere comunque il fiore all'occhiello. Ok che il gioco è di genere musou (un simil-Dinasty Warriors, con tante truppe sullo schermo da abbattere) e non un picchiaduro, ma privare i fan di una modalità 1vs1 è un grosso punto a sfavore secondo me. Aggiungeteci la strana scelta di inserire una cooperativa locale a schermo condiviso ma non una coop-online (per quale motivo, Koei?) e capirete come questo aspetto sia stato decisamente tralasciato.
Un'altra pecca di questo gioco è poi data dalla difficoltà. OP PW3, nonostante la possibilità di scegliere il livello di sfida più adatto, non risulta mai veramente impegnativo per il giocatore. L'IA nemica è davvero imbarazzante e l'unica difficoltà si può riscontrare nel rischio di veder soccombere i propri alleati o di non raggiungere un obiettivo entro lo scadere del tempo perchè troppo presi dalla foga della battaglia. Un consiglio personale che voglio dare è quello di impostare subito il gioco a livello di difficoltà più alto, visto che almeno i nemici risulteranno più resistenti ai nostri colpi.
Elencati i vari aspetti negativi, possiamo passare a definire i pregi di questo prodotto, motivo per cui alla fine mi sono convinto a spuntare Sì alla domanda "Consiglieresti questo gioco?".
Il primo pregio lo troviamo sicuramente nella fedeltà della storia: confesso che ho sempre apprezzato di meno quei videogiochi ispirati ad anime e manga che cercano di realizzare una storia totalmente originale, rinunciando così a raccontare gli eventi reali o comunque che coinvolgono i protagonisti principali. OP PW3 in questo è da elogiare assolutamente: i livelli ripercorrono TUTTA la storia scritta da Oda (naturalmente fino a dove era arrivata quando il gioco è stato terminato, cioè fino alla saga di Dressrosa). L'appassionato di One Piece, quindi, rivivrà in toto il viaggio di Rufy e della sua ciurma. Anche perchè ogni livello è accompagnato agevolmente da filmati realizzati con la CGI del gioco, con una voce narrante che riassumerà le vicende e con una serie di vignette proposte in successione per rivivere i momenti chiave del fumetto. Motivo per cui si può affermare che anche chi non ha mai sentito parlare di One Piece in vita sua, potrebbe tranquillamente usare questo gioco per conoscerne quantomeno la storia primaria.
A proposito dei livelli di gioco, nonostante la loro buona rappresentazione, bisogna precisare che gli stessi appaiono parecchio simili tra di loro. Si tratta perlopiù di strutture labirintiche, spesso spoglie di dettagli e in cui gli obiettivi sono proposti in maniera pressoché ciclica (sconfiggi X, evita che Y si ritiri dalla battaglia, Conquista luogo Z e via dicendo). A salvare l'utente dallo spettro della ripetitività esplicita vi è il massiccio roster a disposizione. Senza contare i costumi sbloccabili tramite DLC, il gioco permette di utilizzare qualcosa come 40 personaggi, tutti realizzati con modelli curati e con il proprio set di mosse personalizzato. Ogni personaggio potrà progredire di livello ed essere potenziato grazie all'uso di specifiche monete o di abilità particolari.
Un aspetto piacevole da vedere per il giocatore è dato inoltre dai micidiali attacchi Kizuna. Si tratta di combinazioni di mosse tra 2 o più personaggi che creano attacchi di portata e di caratteristiche diverse a seconda dei membri coinvolti. Insieme al dinamismo, all'enorme numero di nemici sullo schermo e alla varietà degli attacchi, essi contribuiscono a rendere davvero spettacolari sia i combattimenti ordinari che le boss fight di fine livello.
In OP PW3, oltre alla modalità storia, ne spicca una denominata "Diario dei Sogni". Qui, in pieno spirito con la trama di One Piece, è possibile scegliere il proprio personaggio preferito per affrontare una personale avventura per mari e terre, conquistando il possesso delle varie isole e facendo progredire il nostro "protagonista" personale.
A discapito di un discreto numero di difetti, One Piece Pirate Warriors 3 è sicuramente il gioco da provare per chi ama le avventure pubblicate ogni settimana, da anni, sulla rivista Shonen Jump e per chi vuole, indubbiamente, rivivere le emozioni degli scontri più memorabili e delle saghe più avvincenti. Buon viaggio, futuri re dei pirati!

Voto: 7
Posted 8 January, 2017. Last edited 10 January, 2017.
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